Voto elettorale, battaglia generazionale?
Attraverso il voto elettorale, com’è chiaro a molta stampa estera e meno alla nostra, si consuma una battaglia generazionale.
Cittadini adulti ansiosi di trasmettere alle future generazioni i propri valori, confortati da battaglie combattute e in parte vinte riguardo obiettivi importantissimi per i nati nel dopoguerra e per chi si è trovato a ‘ricostruire’. Giovani e giovanissimi desiderosi di mettere in primo piano i propri valori in battaglie ancora da combattere (non basta postare quello che si pensa sui social – lavoro, diritto alla casa, nuovo diritto famigliare – per dire di averle combattute), e desiderosi di rottamare quel che è importante per adulti e anziani. Due posizioni a prima vista comprensibili ma assurde l’una per l’altra: la prima pretende che le nuove generazioni e le future facciano propri i valori dell’antifascismo e della lotta per i diritti dei lavoratori senza che i giovani abbiano mai subito le angherie né del fascismo né quelle della imprenditoria d’assalto in fabbrica o nei campi (per ora subite, oltre che dagli ultracinquantenni, più che altro dai nuovi poveri come gli immigrati). Nella seconda si pretende di costruire il futuro senza sapere nulla del passato: nemmeno, eventualmente, quali nuove strategie vincenti usare senza reiterare gli errori che, eppure, si sono fatti: i nuovi media sono solo strumenti non modi infallibili per cambiare.
La coesione intergenerazionale si va perdendo, si sa, a causa di una maggiore supposta alfabetizzazione tecnologica delle ultime generazioni, a discapito di cultura generale e tempo disponibile per discutere di idee e politica che invece alle generazioni precedenti era congeniale: il dialogo interrotto, la differenza d’esperienza si tramutano in distanze siderali, sempre più. La necessità di ‘socializzare’ subito tramite media ciò che si è pensato, di agire di conseguenza, addirittura di costruire compagini politiche su quel poco o tanto che si è pensato, brucia i tempi di una comprensione più ampia delle ripercussioni che ogni azione, anche la meglio intenzionata, può avere in ambito pubblico. Inoltre, riguardo la conoscenza delle influenze politiche ‘organizzate’ da parte di importanti gruppi sociali ed economici nei confronti dei fruitori social, tutti ampiamente profilati, siamo appena all’abc, non conosciamo bene i risvolti della faccenda, occorre più tempo.
In una realtà tanto complessa quanto quella attuale, nella quale pare che ogni istanza, anche la più personale, debba avere la meglio su una visione di società condivisa, creando così tante sottocategorie di cittadini quante sono le persone, sembra ormai impossibile riunire delle individualità sotto un simbolo, una bandiera. Eppure anche in questa tornata elettorale qualcuno vince. Vincono gli elettori più giovani, o il voto speranzoso ad un partito, che non si definisce tale, fondato da un quasi settantenne. È giusto che la storia percorra le proprie strade perché la storia non la fanno né le intenzioni né i desideri di continuità col passato, né i ‘si dovrebbe fare così’ di persone che la loro partita con l’esistenza l’hanno già in gran parte giocata. Forse, però, la storia non si fa nemmeno prendendo treni dei quali non si sono pensate le stazioni intermedie ma solo un ipotetico arrivo. Il viaggio, e come lo si fa, la preparazione che si possiede per affrontarlo, le capacità messe in campo per giungere ad un obiettivo sono importanti quanto l’obiettivo stesso.
Anche il Principe, con buona pace delle interpretazioni grossolane, non poteva/doveva fare tutto ciò che voleva così come un popolo ritenuto ‘sano di mente’ non poteva chiedergli di fare. (Serena Grizi) – (Vignetta di Altan)
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